“Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo: prati incrostati di sale che le maree di Normandia depositano ogni sera; prati profumati d’aromi al sole ventoso di Provenza; ci sono diversi armenti con le loro stabulazioni e transumanza; ci sono segreti di lavorazione tramandati nei secoli” (Italo Calvino, Palomar)

Per la sua storia, vecchia di secoli, per i suoi fattori culturali, umani e naturali, il mondo dei formaggi è uno dei più variegati nel panorama alimentare. Questi fattori, combinati tra di loro in equilibrio, determinano la qualità del prodotto finale. Il primo ingrediente che determina l’eccellenza dei prodotti caseari è costituito dai pascoli.

Ci riferiamo a quel luogo, in genere montano, in cui l’erba cresciuta spontaneamente viene fatta brucare dal bestiame, in altre parole foraggio fresco consumato direttamente sul posto. Questi territori montani, utilizzati nei mesi estivi, vengono chiamati alpeggi, o malghe. Un latte munto da capi di bestiame che si nutrono di foraggio fresco, che hanno dunque la possibilità di pascolare, sarà non solo di una qualità diversa (spesso superiore) a quello industriale o di pianura, ma conferirà al formaggio caratteristiche organolettiche ogni volta diverse, in grado di rispecchiare i profumi e l’essenza di quelle montagne.

L’erba verde, ricca di essenze, fiori, profumi, aromi, è l’alimento primario per il bestiame da latte. E’ sana, igienica, ricca di principi alimentari e altamente digeribile per l’apparato digerente dei ruminanti (a differenza di mais o soia). Poiché le sostanze odorifere vegetali sono in parte assorbite dai grassi del latte, queste si potranno percepire, tramite la stagionatura, nel formaggio, diventando di fatto una marchio genetico e sensoriale del prodotto finale.

Molti dei formaggi prodotti in alpeggio, oggi, possono beneficiare delle Denominazioni di Origine Protetta. E’ importante valutare il pascolo montano, considerandone le piante nel loro contesto complessivo, analizzandone il terreno e il clima. Nei pascoli alpini e appennini, inoltre, è essenziale sfruttare la vegetazione a disposizione per nutrire il bestiame in modo da evitare sovraccarichi e spostare mandrie e/o greggi in base allo sviluppo del foraggio; in alpeggio si sale all’inizio della stagione (aprile/maggio) per arrivare nel periodo più caldo dell’anno alle quote più elevate, pronti quindi a riscendere a valle, inseguendo la seconda crescita di foraggio.

 

“A LATTE CRUDO”

Solitamente in alpeggio è presente una struttura dove il pastore e casaro possono non solo soggiornare durante i mesi estivi, ma anche produrre il formaggio. Infatti, la particolarità della produzione di malga o alpe è la tempestività con cui il latte viene lavorato appena dopo la mungitura, senza che questo subisca alterazioni termiche, come la pastorizzazione che andrebbe ad intaccare la presenza dei grassi e conseguentemente il corredo aromatico del formaggio. Ecco svelato anche il motivo per cui, nella maggior parte di casi, si parla di formaggi a “latte crudo” quando si tratta di alpeggio. Sono proprio i batteri lattici presenti nel latte naturale che giocano un ruolo fondamentale nella produzione e stagionatura del formaggio, non per ultimo nel determinarne il quadro gustativo e aromatico. Un tempo, era prassi normale trattare il latte il meno possibile e veniva quindi caseificato appena munto, vicino alla baita o alla stalla. Questa pratica, ormai persa in molti allevamenti di pianura e pressoché in tutti quelli industriali, è ancora viva nelle aree di alpeggio. I formaggi prodotti nelle primissime ore dopo la mungitura vengono classificati dunque come “a latte crudo”, perché il latte viene riscaldato solo il necessario per la caseificazione (dai 15 ai 36°C) e la sua flora batterica non viene alterata.  In questo modo si otterranno formaggi dal sapore ricco e unico del territorio di produzione. Certamente la produzione di formaggio a latte pastorizzato risulta più facile e presenta meno rischi in termini di difetti del formaggio, ma a questa materia prima “impoverita” verranno aggiunti nuovi microrganismi (quelli persi durante la pastorizzazione), conosciuti anche come innesti. Tuttavia quest’ultimi non avranno mai la stessa varietà di sapori e aromi dei fermenti naturalmente presenti nel latte, impedendo al formaggio di acquisire un quadro organolettico di complessità pari a quelli a latte crudo.

I D.O.P. d’Alpeggio

In Italia abbiamo più di 487 e solo il 40% di questi è investito dal marchio Dop o Igp. Catalogare tutta la produzione casearia del nostro Paese non è impresa semplice, ma possiamo iniziare dal conoscere alcuni delle forme prodotte a latte crudo a elevate altitudini.

  • Bettelmatt – Piemonte
  • Grasso d’alpe Monscera – Piemonte
  • Asiago DOP malga Zebio - Veneto
  • Bagoss d’alpeggio – Lombardia
  • Fontina d’alpeggio DOP – Valle d’Aosta
  • Monte Veronese di malga – Veneto
  • Raschera DOP d’alpeggio – Piemonte